Allor fu la paura un poco queta

che nel lago del cor m' era durata

la notte ch' i' passai con tanta pieta.

(Inferno I, 21)

La forma, modellata sul nominativo latino pietas, tende a distinguersi da pietà, pietate, pietade (tratte dall’accusativo pietatem e usate anch’esse da Dante) per significare specificamente 'tormento', 'angoscia', come nel passo citato, oppure 'affetto', 'devozione' che i figli provano per i genitori, come nel passo: “né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre” (Inferno XXVI, 94-95; parla Ulisse, che poco prima ha menzionato il pius Enea). P. D’A.

In questi versi Dante parla di un tormento, di un’angoscia che lui denomina pietà, un sentimento provato tutti i giorni da chiunque, in particolar modo rispetto all’avvenire, che spesso risulta diverso dalle nostre aspettative, inducendo in noi una paura futile, ma che si radica talvolta su grosse radici e ci porta a trascurare il presente. Purtroppo non possiamo praticare l’idea tanto utopica di Schopenhauer, liberarci dall’angoscia, trasformando la voluntas in noluntas, in quanto se non desiderassimo non ci sentiremmo nemmeno vivi, dunque non ci resta che convivere con questo sentimento, ma senza farci schiacciare da esso e ponderandolo come conviene. Tante volte l’angoscia deriva anche dalla noia, infatti Cesare Pavese stesso nel suo romanzo “Il Carcere” afferma “L’angoscia vera è fatta di noia. Inoltre la parola pietà ci rimanda anche al verbo compatire, etimologicamente soffrire con l’altro, non nel senso di deplorare, o provare pena come siamo soliti ritenere. Al contrario, esso ci induce ad essere sensibili agli altri, atteggiamento che io trovo essenziale, perché nel momento in cui si percepiscono gli stessi sentimenti, si arriva a condividerli, alleggerendo così un peso che per uno soltanto sarebbe insopportabile. Difatti spesso la gravosità di un problema può venire meno se ad affrontarlo si è in due o più. Questa parola induce in me l’idea di una consonanza con “La pietà” di Michelangelo, in cui vediamo la Vergine che sorregge il Cristo, il quale è stato fatto più piccolo per consentire ciò. Nonostante per Michelangelo fosse solo unidea pratica di semplificazione dell’idea logica e strutturale della scultura, nell’opera vedo un'analogia che va oltre alla dimensione della geometria. Penso che questo particolare faccia capire a noi che in un contesto di pietà, affinché qualcuno ci aiuti, dobbiamo essere in grado di farci più piccoli e accettare di dover essere sorretti, gettando nell’angolo l’orgoglio, perchè compatire penso che significhi anche accudire l’altro e aiutarlo a leccarsi le ferite.

Elshadai Giacon 5 CL